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Adolescenza

“Crescere sani nell’epoca del relativismo è possibile, il

fatto è che potrebbe essere troppo complesso per farcela.”

Lepri F. "Falsi edonismi, ribellione e fuga dalla crisi come fattori di fragilità" in "Fragilità psichica e mondo giovanile" Filippo Urso (a cura di), Centro Volontari della Sofferenza, Roma, 2006.

Lezione

Il contesto culturale

Ci troviamo in un’epoca di disordine, di caos apparente nella quale le idee si confondono e non esistono delle mete comuni che possano guidare la presente generazione. La lotta per la civiltà ha prodotto progressi incredibili ma abbiamo dimenticato che il termine “progresso” andrebbe considerato come evoluzione e cambiamento, cioè con una valenza neutra. Non possiamo sapere se un cambiamento che riteniamo positivo oggi potrà invece avere effetti collaterali imprevedibili domani. Già Gregory Bateson ci istruiva che non possiamo avere alcuna certezza sul fatto che un cambiamento reputato positivo possa davvero esserlo nel lungo termine; i sistemi umani, come quelli biologici, si adattano al cambiamento e reagiscono ad esso seguendo dinamiche non lineari e traiettorie coevolutive ed il terreno conquistato da una generazione può essere rapidamente perso da quella seguente.[1] La scienza della complessità ci ammonisce a mantenere un atteggiamento di umiltà[2] nei confronti delle nostre conclusioni sulle leggi che regolano la vita ed il mondo, insegnandoci che, per quanto possiamo credere di attuare cambiamenti positivi, non potremo sapere se gli effetti a lungo termine lo saranno anch’essi. I sistemi umani sono, per definizione, sistemi ad elevata complessità e tutti coloro che hanno creduto di poterli cambiare a loro piacimento basandosi su certezze legate alla sociologia, alla politica, alla psicologia o alle scienze esatte, hanno commesso un grave errore epistemologico.  Il sogno di Cartesio e di Galileo sembra ormai essere solamente un sogno, almeno per coloro che si occupano di scienza, mentre rimane la certezza deterministica per coloro che non vogliono ammettere il loro limite essendo annebbiati dalla superbia.

Possiamo rammentare quali sono stati gli effetti dell’uso del DDT sull’ambiente naturale, quali gli influssi del darwinismo sulla seconda guerra mondiale, quali gli influssi degli studi etologici di Konrad Lorenz e delle teorie energetiche di Sigmund Freud sul decidere come organizzare le masse affinché potessero sfogare la loro aggressività all’interno di stadi calcistici per non sfogarla nella vita quotidiana. Nondimeno si potrebbero citare ideologie politiche pacifiste che hanno prodotto milioni di morti.

Ebbene, sono soprattutto i giovani ad essere esposti ad ogni sorta di influsso culturale ed ideologico, che si innesta sulla loro naturale tendenza alla curiosità ed alla scoperta del mondo; purtroppo i giovani risultano anche essere privi del potere che può avere un adulto di riflettere sulle idee per poterle trattare in modo critico.

Un altro importante fattore di destabilizzazione è la miscela tra l’innumerevole quantità di idee che circola liberamente da ogni canale di comunicazione unita al fatto di essere completamente liberi di scegliere a quale di queste prestare la propria fede ed a quale conformarsi soggettivamente. Si potrebbe dire, per evitare ogni speculazione, che questi ragazzi semplicemente abbandonati a se stessi. La presunta libertà viene a legarsi ad una quantità di informazioni troppo elevata perché chiunque, nello specifico chi ancora non ha sviluppato pienamente la propria identità ed una sufficiente esperienza di vita come i giovani, possa effettuare delle scelte etiche e valoriali attendibili e durature. Siamo esseri dotati di capacità razionali limitate[3] e le nostre scelte vengono spesso effettuate con il metodo della riduzione dell’incertezza.[4] Ma le scelte effettuate secondo questi criteri decisionali saranno sì delle scelte che potranno orientare la nostra vita e decidere il nostro futuro, ma saranno parimenti inefficaci nel soddisfare lo sviluppo della nostra coscienza etica e valoriale, cioè nello sviluppare la parte più profonda della nostra personalità.

Essere esposti ad una quantità di informazioni molto grande senza gli adeguati strumenti epistemici, significa che essere esposti al caos ed al disordine, con l’esito di generare una confusione di idee difficilmente governabile.

Quindi siamo di fronte a due ordini di problemi: la disponibilità di una grande quantità di idee, di ideologie o di percorsi, e la possibilità di scegliere liberamente, cioè senza vincoli. Ci troviamo in un angusto vicolo sul quale si affacciano astrazioni idealistiche antiche ma sempre di moda come l’individualismo razionalista, il relativismo ed il soggettivismo. Ciò che ha a che vedere con la tradizione o con una pretesa di universalità ha ormai perso peso, e l’unico universalismo è quello di credere nel paradosso del relativismo: se tutto è relativo allora anche l’assioma del relativismo è relativo, quindi paradossale.

La cultura occidentale laica nella quale siamo immersi non ammette più concetti universali ai quali potersi affidare ed ai quali delegare lo sforzo delle nostre povere menti; siamo costretti a ricostruire in ognuna delle nostre vite il percorso dell’intera umanità, siamo soggettivamente costretti ad essere liberi di scegliere in cosa credere e di scegliere chi vogliamo essere, possiamo finalmente essere davvero liberi, tanto qualsiasi esperienza è costruita dalla nostra mente senza la possibilità di raggiungere una qualsiasi oggettività. L’unico criterio che può divenire la nostra stella cometa, l’unica fede socialmente accettata è la tecnica, una mitologia meccanica che genera strutture educative ad elevata scientificità ed altamente burocratizzate, ma prive di anima. La tecnologia sostituisce ogni responsabilità dell’educatore in favore di un rigoroso algoritmo educativo composto da formule, schemi e regole formali da applicare come automi. Una nuova fede viene a generarsi in chi ha il compito di crescere e di educare chi si trova nella fase più delicata del proprio percorso evolutivo: la fede nella scienza, il solito baluardo della lotta contro l’anima.

Una situazione degna di nota è l’attuale sforzo che le case farmaceutiche stanno profondendo nello sviluppare psicofarmaci da utilizzare in fasce di età sempre più basse: se un bambino manifesta un comportamento fuori dalla norma o è troppo vivace, allora gli si può somministrare, per esempio, il Ritalin. Qual è il problema, null’altro se non quello di farsi guidare dalla scienza farmacologia, non c’entrano magari i genitori che non sono mai a casa o la mancanza di affetto o il fatto che il bambino può avere bisogno di uno sforzo in più da parte di chi lo accudisce. Qualsiasi problema si manifesti o se il modo in cui cerchiamo di educare i nostri figli potrà produrre in loro disagio psichico, potremo sempre trovare un farmaco che permetta di evitare questa spiacevole esperienza. L’uso di tecniche nella gestione delle relazioni interpersonali, ma il prezzo da pagare è la perdita dell’affettività e del contatto umano all’interno della relazione: se è sufficiente applicare pedissequamente un metodo studiato scientificamente, allora l’insegnante o il genitore deve essere uno strumento che usa la tecnica e che si pone in una posizione secondaria, la relazione autentica che coinvolge docenti e discenti si sposta verso un terzo fattore esterno a loro. Non vi è responsabilità personale, il coinvolgimento si affievolisce, la responsabilità viene delegata; purtroppo accade che l’allievo o il figlio venga trattato come un oggetto, perché gli oggetti sono ciò che viene studiato dalle scienze esatte e che ad esse possono rispondere, mentre un soggetto non risponderà alla stessa stregua avendo caratteristiche differenti.

Un altro importante fattore riguarda il modo con il quale viene prospettato il percorso di crescita individuale. La vita sembra oggi essere un percorso di autorealizzazione nel quale ognuno deve tendere a realizzare se stesso in modo univoco e soggettivamente centrato. Ognuno è libero di porre in atto ciò che è in potenza, secondo un disegno che lo allontana da qualsiasi pressione possa tendere a conformarlo o a “normalizzarlo”. “Me stesso” deve essere l’unico metro di giudizio al quale porre attenzione ed i miei specifici impulsi devono essere gli unici da seguire. Il resto può anche non contare, perché potrebbe inibire un prezioso percorso di sviluppo autonomo ed autocentrato. L’individualismo ed il relativismo divengono due bandiere che, per effetto collaterale, inneggiano al rifiuto dell’autorità e pongono il proprio interesse sopra quello degli altri, seguendo una strada che produce confusione e anarchia delle idee nelle giovani menti.

Idee antiche che proponevano di realizzare un ideale e di trasformarsi in vista di un bene superiore non sembrano essere presenti nella nostra struttura culturale, valori che fornivano una guida solida riconosciuta dalla collettività sembrano essersi persi sotto l’egida della libertà.

Liberi di essere se stessi e senza una meta solida per la quale trascendersi, i giovani sono sottoposti ad un arduo percorso evolutivo, difficile quanto rischioso, abbandonati a se stessi da ideologi inadeguati a legiferare nei confronti dell’età adolescenziale.

 

Il percorso evolutivo

La prospettiva liberale ed individualista a cui sono esposti i giovani può essere un’arma a doppio taglio perchè ne possono derivare strategie educative molto complesse che presentano una elevata non linearità. Un approccio privo di una meta superiore prefissata, privo di un ideale di perfezione al quale tendere, che non consideri nessuno come superiore ma tutti allo stesso livello, può produrre una notevole mole di “rumore”, ovvero di effetti collaterali non desiderati. Sembra che neanche l’esperienza storica e la tradizione abbiano attualmente un grande valore. Inoltre diviene impossibile prevedere quali potranno essere gli effetti che questi modelli di pensiero potrebbero avere su chi è sottoposto ad essi. Insomma, si riduce a pochi parametri la possibilità di effettuare una previsione su quale sarà lo sviluppo dell’attuale generazione giovanile. Si possono, invece, prevedere quelle che saranno le difficoltà di percorso e si può tentare di formulare qualche ipotetica generalizzazione sugli eventuali esiti.

Si delinea per l’età evolutiva un arduo confronto con un compito molto complesso, quello di ripartire da zero per conoscere il mondo, per scoprire se stessi e per riuscire a convivere con se stessi e con il mondo. Il giovane, abbandonata la tradizione, la stima per l’autorità e la possibilità di aderire ad ideali normativi definiti come universali ed intramontabili, è costretto a vagare in un dedalo di percorsi ignoti senza una guida.

 

L’autorealizzazione?

Il processo evolutivo si delinea come percorso di realizzazione autonoma di ciò che il giovane è in potenza, seguendo un iter spontaneo, libero da vincoli e privo della necessità di conformarsi ad un’idea di perfezione.

 

“L’uomo non deve realizzarsi, ma realizzare i valori per cui è fatto e che esigono che egli si trasformi”[5]

 

A prima vista, questa citazione di Romano Amerio potrebbe sembrare scandalosa per chi professa un ideale di modernità pedagogica, per quanto questa strada sia già stata fortemente segnalata da Sant’Agostino, a partire dalla sua lotta contro il Pelagianesimo. In realtà, questo assunto indica una strada ben più agevole ed adatta ad un percorso di crescita adolescenziale rispetto all’idea di integralismo liberale, in quanto nella teoria dei sistemi dinamici non lineari, sorella della teoria del caos e della complessità, non esiste possibilità di effettuare una scelta senza la presenza di vincoli che ci aiutino a gestire repertori di informazioni di elevate dimensioni.

La complessità del dover ricostruire un mondo personale a partire dalle proprie tendenze ed inclinazioni e basandosi solamente sulla propria esperienza, richiede un tempo ed uno sforzo superiore a quello normalmente disponibile ad un essere umano. L’ideale del soggettivismo parte da un presupposto di utopica perfezione intrinseca dell’essere che, in sé ed in solitudine, deve possedere tale attributo per poter giungere efficacemente ad una meta di sviluppo. L’errore è che questa sorta di perfezione è una meta da raggiungere e non un attributo già presente in noi.

Inoltre, ciò che percepiamo è un qualcosa di costruito dalla nostra mente, differente da ciò che si trova nelle menti degli altri, relativo a noi stessi ed al nostro specifico modo di essere nel mondo. Il costruttivismo prevede nell’atto del conoscere e del costruire un mondo autoreferenziale, il concetto di responsabilità: tutto ciò che costruiamo ed il modo in cui diamo un senso alle nostre percezioni, ricade sotto la nostra responsabilità e l’atto stesso del conoscere e dello scegliere diviene un’etica.

L’attività di crescere e di svilupparsi senza guide, senza vincoli valoriali, senza norme e senza ideali prefissati, diviene un’attività ad elevata complessità, troppa se paragonata alle capacità possedute da una mente in via di sviluppo. Inoltre, il fatto di essere completamente liberi di scegliere e di essere responsabili in prima persona delle proprie scelte, diviene un’attività che presenta un elevato costo per le energie mentali. Un giovane adolescente sottoposto a questo distress rischierà semplicemente di non farcela a portare a termine il compito. Trattare i giovani come maturi, i proficienti come perfetti, i dipendenti come indipendenti, crea solamente una grande confusione ed effetti collaterali non controllabili, oltre a causare disagio psichico e ad accrescere la fragilità.

Un ragazzo che cerchi davvero di intraprendere questa strada andrà incontro assai precocemente a qualcosa di simile ad un esaurimento della disponibilità delle proprie forze e, di conseguenza, sceglierà di percorrere una strada differente.

 

“Gli acerrimi sostenitori della libertà del libero arbitrio senza la grazia di Cristo…vogliono apparire i grandi ottimisti, ma poi di fatto lasciano l’uomo nella sua terribile incapacità.”[6]

 

Già a partire dal IXX secolo, Hughlings Jackson[7] mostrava come le operazioni mentali avessero differenti gradi di complessità e descriveva la mente come organizzata in livelli gerarchici verticalizzati e sovraordinati gli uni agli altri, considerati in base al loro grado di organizzazione, complessità, automaticità ed il processo di dissoluzione progressiva di tali livelli di funzionamento mentale. Esaminando l’ordine di frequenza e di rapidità con cui scompaiono le funzioni psicologiche, Pierre Janet è riuscito a “porre in evidenza la nozione per cui i fenomeni psicologici si dispongono in una gerarchia di difficoltà e di complessità crescente a seconda del rapporto man mano più stretto con la realtà data nel presente”.[8] Nel caso d’indebolimento delle funzioni cerebrali, esse non scompaiono simultaneamente, ma progressivamente in base a tali livelli di difficoltà. I livelli superiori sono i più complessi, i più costosi da sostenere in termini di forza psicologica ed anche i più delicati, e sono i primi a scomparire in caso di patologia o di eccessivo carico di stress. I livelli inferiori sono più semplici, meno costosi e più robusti, e sono gli ultimi a scomparire. Secondo le ricerche di Janet, autore abbandonato dalla psicologia poiché il conflitto con Sigmund Freud fu vinto da quest’ultimo,[9] i livelli inferiori sono costituiti dagli istinti più elementari presenti in ogni essere umano, i quali, in caso di esaurimento delle energie mentali dell’individuo, verrebbero espressi liberamente senza la mediazione delle funzioni superiori della mente. La conclusione è che lo sforzo di conoscere il mondo dovendo ricostruirlo daccapo, di farsi una propria opinione di se stesso e degli altri, di scegliere all’interno di un repertorio di informazioni praticamente infinito, potrebbe produrre un esaurimento tale da portare il ragazzo a dover retrocedere nei livelli inferiori dell’attività mentale.

Per chi non abbia voglia di percorrere tutta la strada, è probabile che venga scelto l’uso di euristiche, cioè di percorsi abbreviati ed economici per effettuare le proprie scelte.[10] Nel vedere l’impossibilità di portare a termine un compito è più facile che lo si abbandoni invece di proseguire nella lotta contro un mulino a vento, in favore di una scelta di comodo.

Ciò che verrà scelto realmente sarà determinato dal caso, in base alla facilità con cui è reperibile nell’ambiente, e sarà qualcosa che si accoppierà con ciò che, all’interno della nostra personalità, sarà più visibile, cioè con ciò che è percepibile sulla superficie della nostra autoconsapevolezza. Ma cosa ci attendiamo che possa essere più in superficie nell’attività mentale di un ragazzo? Tranne rari casi virtuosi, gli istinti più semplici, cioè i livelli inferiori delle attività mentali, e le tendenze edonistiche.

 

 

I falsi edonismi

“Oggi la vita è presentata ai giovani irrealisticamente come gioia”,[11] mentre la durezza del vivere, la sua difficoltà e lo sforzo vengono negati, dissimulati e relegati in un angolo. La felicità viene presentata come condizione naturale dell’uomo occidentale del XXI secolo e dunque diviene una condizione dovuta, un ideale che i giovani devono far proprio, per raggiungere il quale è necessaria un’educazione che liberi la strada del loro sviluppo da ogni intoppo e da ogni ostacolo. Allo stesso tempo, ai giovani sembra ingiusto il presentarsi di un ostacolo sul loro cammino e diviene difficile considerare le difficoltà come prove da superare. Una visione oscura della vita come valle di lacrime risulterebbe essere, parimenti, depressiva privando l’essere di ogni potere e di ogni volontà per trasformare se stessi e la realtà; il rischio sarebbe quello di giungere alla disperazione perdendo la capacità stessa di sognare e di vivere nella speranza.

Il senso e le mete da raggiungere vengono identificati con la felicità, la qualità della vita e con il diritto ad essere felici. Peraltro, sembra che questi fini debbano esserci garantiti dall’alto, non conquistati con lo sforzo e l’impegno personale. Il principio di piacere, descritto da Gustav Teodor Fechner[12] nel 1843 e portato all’ennesima potenza da Sigmund Freud, diviene la base del nostro comportamento e delle scelte di valore, unitamente all’idea di diritto ed al modello salute-malattia basato sulla scarica di tensioni accumulate, ormai accreditate dalla nostra cultura.

Siamo giunti, quindi, al fatto che il giovane, lasciato solo, cercherà di dirigersi verso mete di piacere, edonistiche. La ricerca di piacere, gioia e felicità non ha nulla che non vada, il problema si manifesta in alcune specifiche condizioni, dove definire falsi edonismi questo modo di intendere la vita ed il senso da dare alla propria esistenza, può essere lecito. Se i modelli culturali lo spingono in questa direzione e le persone che frequenta gli presentano questa visione, allora il gioco è fatto.

Ma il vero problema per cui possono essere definiti falsi è che essi sono comportamenti parziali ed incompleti, in quanto viene utilizzata solo una piccola parte delle proprie capacita e delle funzioni della mente. Non dimentichiamo che noi crediamo nel concetto di privatio boni come causa di effetti negativi già annunziato da Tommaso d’Aquino, il quale affermava che “il male non è altro che una privazione di ciò che uno deve avere per natura” intendendo che il male è l’effetto collaterale della carenza di una perfezione dovuta ad un soggetto. Il giovane, dirigendosi solamente verso mete di piacere vivrà una vita parziale, non vivrà pienamente né intensamente né avrà modo di conoscere gli aspetti più profondi di se stesso.

I motivi per cui li definisco falsi edonismi sono due: il primo è che sono piaceri non acquistati con la fatica personale ma dati per scontati e dovuti, verso i quali ci si dirige per facilità ed a causa dell’esaurimento delle energie mentali. Il secondo è che vi si dirige per motivi difensivi, come vedremo più avanti.

“…indirizziamo ogni nostro desiderio verso il piacere…senza badare come nel frattempo possiamo realmente far morire di fame la nostra anima.”[13]

 

La delusione

Vivere una vita utilizzando i livelli inferiori dell’attività mentale, o meglio utilizzando solo questi isolati dall’insieme armonico della nostra personalità completa, è vivere in modo parziale, è vivere in una forma di anestesia. Certo l’infanzia è un luogo privilegiato, ma di lì a poco si entrerà nell’adolescenza, momento nel quale inizieranno a risvegliarsi sia la mente sia gli istinti.

Nel momento in cui si presenteranno le prime difficoltà, quando si manifesterà una dissonanza tra ciò che credevamo fosse la vita e ciò che si prospetta nella realtà, allora si correrà il rischio che si avvii una crisi di trasformazione o crisi evolutiva. La crisi può iniziare nel momento in cui si trova una resistenza all’applicazione della nostra volontà, ovvero quando aumenta lo sforzo nella gestione della nostra vita. Già nei primi dell’800 François-Pierre Maine de Biran[14] faceva dello sforzo il principio fondamentale della vita mentale e l’espressione della coscienza; la coscienza è la consapevolezza dello sforzo che solleva la mente dalle sensazioni alla percezione, fino alle più complesse operazioni mentali. Lo sforzo che deriva dal trovare una resistenza all’ap­plicazione della volontà personale genera l’Io, qui potremmo dire che genera determina lo sviluppo della personalità di un giovane.

“Esperti buonisti” ed il modo in cui, immemori di come si fosse svolto il passaggio dalla loro fanciullezza alla loro adolescenza ed oltre, non ci hanno preparato a questo passaggio ed hanno continuano a lasciarci liberi di essere quello che vogliamo essere, in nome di un liberalismo basato su una mitologia di tecniche educative liberali fondate sull’individualismo positivista. Potrebbe bastare il fatto che la nostra mente inizi a porci interrogativi sul senso o che la vita ci prospetti una delusione o semplicemente il fatto di cominciare a pensare per la prima volta perché le nostre aspettative vengano disilluse facendoci entrare in una sfera di sofferenza che renderà evidente tutta la nostra fragilità.

In questo momento siamo ancora lasciati liberi, cioè soli e pieni di responsabilità, ad affrontare un compito di complessità troppo elevata come l’ingresso in un percorso critico. A questo punto la crisi, perché possa essere un momento di crescita e possa divenire un processo di trasformazione invece che un sintomo da sopprimere, avrà bisogno di una figura di sostegno, di una prospettiva di senso e di una meta da raggiungere. Le figure di sostegno potrebbero essere assenti, come nel caso dell’attuale struttura delle famiglie occidentali, la prospettiva di senso potrebbe essere negata in nome di un relativismo assolutistico che favorisca la spontaneità libera ed autentica del ragazzo, ed il fine potrebbe essere semplicemente quello di stare bene nel presente immediato e di riuscire a provare più gioia possibile.

Se la situazione risulta essere questa, potremo dire che il giovane sarà fragile ed incapace di affrontare efficacemente il percorso di sviluppo, il confronto con l’ambiente e con la vita, ed il confronto con se stesso. La soluzione migliore che potrà essere trovata, prescindendo in questa sede dal trattare i  percorsi patologici, sarà quella di avviare meccanismi difensivi legati ad attività diversive.

 

La ribellione alla sofferenza

Attualmente viviamo nell’epoca della felicità, è il periodo storico in cui la superficialità è riuscita a vincere ogni tipo di profondità e la dissimulazione ci porta continuamente ad intraprendere attività diversive edonicamente finalizzate; quello che abbiamo perso è la possibilità stessa di star male, è stata eliminata la dignità della sofferenza, il dolore deve essere cancellato a tutti i costi dalle nostre vite. Un effetto collaterale della nostra attuale impostazione socio-culturale è stato di generare in noi un atteggiamento di rifiuto e di ribellione a qualsiasi forma di esperienza di dolore, che è esattamente l’atteggiamento che può produrre l’aggravarsi di una crisi facendola degenerare verso la patologia mentale o verso la disperazione ed il rifiuto della vita. Se anche io volessi star male perché ne sentissi il bisogno, dovrei allontanarmi da tutti e vivere la mia sofferenza in solitudine.

Un giovane adolescente che non sia pronto ad affrontare la sofferenza, probabilmente neanche lo sforzo e la fatica, non sarà in grado di affrontare la crisi evolutiva che lo avrebbe dovuto far progredire nel suo percorso di sviluppo. Se non vi è alcuna speranza nascosta dietro la sofferenza, se non vi è alcuno scopo e nessun senso, allora sarà impossibile affrontarla. Ciò che rimarrà sarà l’anestesia, che si manifesta con atteggiamenti diversivi, o l’eutanasia, che si manifesta con atteggiamenti suicidari. Parlando di anestesia, può essere facile comprendere come una strada percorribile possa essere quella di rivolgersi ad attività diversive che hanno la capacità di non far pensare al problema che stiamo vivendo, di portarci lontano ed all’esterno di noi stessi proprio nel momento in cui dovremmo rientrare, di farci disperdere in attività mondane mentre dovremmo concentrarci sulla nostra interiorità. S. Agostino ci ha insegnato i pericoli del disperdersi all’esterno invece di concentrarsi sulla propria interiorità, dove si può incontrare lo Spirito: “Noli foras ire, in interiore homine stat veritas”.

La predisposizione ad entrare in crisi è prerogativa degli animi più profondi e più sensibili, mentre coloro che sono meno sensibili e che si pongono meno domande sulla vita probabilmente non giungeranno mai a vivere una vera crisi o, almeno, riusciranno a fuggirla e dissimularla efficacemente per tutta la vita. I più sensibili saranno coloro che maggiormente dovranno utilizzare modelli di comportamento difensivi e, probabilmente, avranno anche bisogno di vie di soddisfazione sostitutive che possano avere una qualche somiglianza con il bisogno negato.

 

Il senso del sacro

La crisi, nel momento in cui chi la vive non utilizza meccanismi difensivi ma ha il coraggio di interrogarsi e di cercare di risolvere il malessere, se presenta una certa gravità può delinearsi come crisi psico-spirituale.[15] Stanislav Grof, psichiatra cecoslovacco, ha il merito di aver coniato questo termine e di aver presentato una prospettiva critica relativamente all’interpretazione della crisi e della malattia mentale.[16] Secondo questo autore, una crisi prende avvio da fattori d’innesco di varia natura, ma la base comune è il vissuto di sofferenza. Quando ci si imbatte in una condizione critica, a parte i casi di patologia su base organica, non vi è nulla  che possa essere etichettato come patologia mentale, bensì si entra in un percorso di trasformazione che segue le sue leggi ed ha i suoi obiettivi. Il modo di vivere la sofferenza si lega al modo con il quale interpretiamo la condizione critica come percorso di trasformazione: se non ci ribelliamo alla via che la crisi ci sta indicando di seguire e la percorriamo fino in fondo lasciandoci trasformare, allora la sofferenza potrà essere rapida e di intensità moderata. Ma se ci ribelliamo alla sofferenza ed al percorso di trasformazione, allora il dolore aumenterà in modo smisurato tanto da dover avviare meccanismi difensivi che ci allontanino dalla percezione di dolore e, di conseguenza, impediremo al processo in corso di produrre i suoi effetti trasformativi rimanendo bloccati a metà del percorso di trasformazione. Fra le principali cause della sofferenza mentale, Grof indica gli influssi culturali dovuti alla prospettiva fornita dalla psichiatria classica, che rispecchia l’impostazione positivista atea.

 

“Mistici e schizofrenici si trovano nello stesso oceano, ma i mistici nuotano, mentre gli schizofrenici affogano”[17]

 

Nei confronti degli influssi negativi dovuti alla psichiatria ufficiale, Ronald Laing presenta le sue critiche, sostenendo che il nostro stato di normalità e di buon adattamento alla realtà può essere letto come una rinuncia all’estasi ed un tradimento delle nostre vere potenzialità, perché uno stato di genuina salute mentale comporta la dissoluzione dell’Io normale, del falso Io che si è costituito per adattarsi alla nostra società alienata. L’essere di un uomo si può osservare da angoli diversi, dando origine a descrizioni completamente differenti che determineranno modi di agire e modi di vedere la vita differenti. La teoria di Laing si discosta in modo radicale e rivoluzionario dal pensiero ufficiale, in quanto afferma che i sani di mente non lo sono realmente mentre gli psicotici non sono pazzi come sembrerebbero. La società moderna si fonda sulla negazione dell’individuo e dell’esperienza; essa è pericolosamente insana e gli psicotici, trovando intollerabili i suoi valori e le sue norme, non riescono ad adattarsi passivamente ad essa. Gli psicotici sono individui la cui esperienza complessiva è divisa, in quanto hanno un rapporto insoddisfacente con il mondo e con la società umana ed un rapporto distruttivo con se stessi. Se si rifugiano nel mondo della patologia mentale, lo fanno per sfuggire a una realtà che trovano inaccettabile. Questo li porta a vivere un’esperienza incompleta, caratterizzata da paura, disperazione, solitudine e senso di isolamento insieme al tentativo di fuggire da questi vissuti. Secondo l’autore, gli psichiatri non presentano un’adeguata attenzione alle esperienze interiori degli psicotici, ma le considerano patologiche e incomprensibili. Un’attenta osservazione mostrerebbe invece che esse rivestono un significato profondo e che il processo psicotico può risultare creativo ed avere fini trasformativi. Egli è convinto che gli psicotici abbiano da insegnare agli psichiatri assai più di quanto questi abbiano da insegnare ai pazienti stessi.[18]

Colui nel quale si è attivata una forte insoddisfazione per una vita superficiale e che ha iniziato ad entrare in contatto con la sofferenza, probabilmente sentirà risvegliato anche un sano senso della sacro ed una ricerca di un qualcosa di trascendente. Di nuovo, nel regno del relativismo liberale dove tutte le dottrine vengono presentate con la stessa valenza, i ragazzi si troveranno a dover effettuare una scelta ardua e saranno probabilmente “sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina” (Ef 4,14). Se rimaniamo aderenti alla psicologia dei processi decisionali ed alle leggi della statistica, la scelta verrà effettuata in modo praticamente casuale. Ė attualmente presente sul mercato una grande fioritura  di metodologie e tecnologie del sacro che promettono di disvelare esperienze spirituali. Hanno avuto successo e si sono espansi nuovi gnosticismi come la New Age, la Psicologia Transpersonale, lo “Junghismo” ed altri metodi di meditazione di provenienza orientale. Ciò che viene ricercato sono emozioni di tipo spirituale veicolate da una tecnica che permetta di risparmiare il tempo che normalmente occorre per una normale via di fede, si cerca un godimento di un qualcosa di raro e di appagante, si cerca, nuovamente, il piacere di un’emozione rara. L’edonismo spirituale può essere definito come ricerca di esperienze emozionanti relative alla spiritualità, per il tramite di sistemi rapidi e fruibili per tutti, a basso costo di tempo e di fatica. Quando non vi è solamente ricerca edonica ma si cerca veramente un cambiamento ed una trascendenza, se vengono utilizzati questi sistemi incompleti ed abbreviati di sviluppo della parte spirituale, il messaggio che potrebbe passare è che sia possibile controllare da soli perfino le dimensioni spirituali e che sia possibile pervenire da soli alla salvezza. Il rischio è di giungere ad una delusione ancora più grande e radicale: l’aver provato perfino una soluzione spirituale ai propri problemi senza che questa abbia prodotto effetti degni di nota. L’insicurezza ontologica può aumentare fino al punto di lasciar perdere ogni tentativo di soluzione ricorrendo nuovamente a difese e diversioni, potendo anche cadere nella patologia mentale, oppure, se non ci si accorge di aver intrapreso un via errata, di sviluppare un disturbo di personalità narcisistica, cioè superbia.

 

“Se attribuiamo a noi ciò che invece è di Dio, rischiamo prima l’illusione e poi una grande depressione: è l’effetto della menzogna e della superbia.”[19]

 

La scelta di un percorso di ricerca di sacralità verrà effettuata in base a pochi parametri come la moda del momento, il consiglio di un amico oppure un incontro casuale; il fatto è che, per quanto un ragazzo possa informarsi e tentare di approfondire ciò che cerca, non gli sarà possibile trovare davvero ciò che vuole se non dopo anni di studio e di ricerca. Per chi vuole scegliere qualcosa che sia socialmente più accreditato e che abbia una tradizione millenaria, quanto tempo potrebbe occorrere per scegliere quale delle grandi religioni monoteistiche possa fare al caso suo? Insomma, la richiesta di sacralità potrebbe essere soddisfatta da percorsi errati, da false vie che potrebbero produrre più difetti che effetti.

L’uso di sostanze

Un altro percorso possibile che garantisce una soddisfazione sostitutiva, è l’uso di sostanze psicotrope. Spiritus contra spiritum è il motto degli Alcolisti Anonimi, i quali forniscono agli alcolisti un’esperienza spirituale come metodo per uscire dalla dipendenza da alcool. Il rapporto tra sostanze psicotrope ed esperienze mistiche è ormai un dato di fatto anche senza andare troppo lontano nel tempo:  “nel 1964 una sentenza della Suprema Corte della California affermava che per gli indiani il peyotl era un simbolo sacramentale analogo al pane e al vino della liturgia cattolica, e che abolire l’uso del peyotl avrebbe significato distruggere il cuore teologico del peyotlismo”, inoltre nel 1923 è stata istituita la Peyotl Church of Christ dei Sioux cristiani del Dakota. [20] L’uso di allucinogeni naturali o di sintesi, di deliranti o di anestetici dissociativi può essere un valido sostituto ad esperienze sacre o mistiche, chiaramente con effetti collaterali disastrosi, sia a livello organico sia a livello psichico.

Anche qui, l’influsso della cultura liberalista proposta dai movimenti antiproibizionistici, per quanto si basino su ragionamenti legati alla criminalità ed all’attrazione fornita dalla trasgressione, rischiano di fornire alle nuove generazioni un’ulteriore dose di confusione in merito al tema dell’uso di sostanze. La moda del momento, legata soprattutto all’uso di sostanze di sintesi di facile uso e senza lo stigma che caratterizzava l’uso di oppiodi per via endovenosa, si innesta su di un bisogno di sacralità non soddisfatto per il tramite della tradizione religiosa, e fornisce esperienze di attivazione emozionale che permettono ai giovani di uscire dalla banalità della vita.

Lo stesso Stanislav Grof descrive di aver avuto un incontro con il divino in un moderno laboratorio di ricerca occidentale mentre stava facendo esperimenti su se stesso con l’acido lisergico. Inizialmente e finché la legge l’ha consentito, la terapia da lui proposta per la cura della schizofrenia, interpretata come situazione di stallo all’interno di un percorso di trasformazione psico-spirituale, era basata sulla somministrazione controllata di LSD ai pazienti. Ciò che veniva favorito era, secondo Grof, l’emersione delle dimensioni spirituali che erano state attivate da un fattore innescante e dalla sofferenza, e che erano state in seguito inibite o farmacologicamente o a causa delle resistenze del paziente al farle emergere ed a permetterne la piena manifestazione.

 

Percorso di sviluppo secondo S. Agostino

Il momento in cui l’adolescente entra nella sua fase critica, è il momento in cui gli si offre una grande opportunità di crescita e di trasformazione. La sofferenza, la presenza di difficoltà da affrontare, il momento in cui si entra in crisi rappresenta “una finestra di opportunità che si apre verso il cambiamento”,[21] che va colta nel più breve tempo possibile, prima che inizi la fuga e la negazione difensiva. Per poter affrontare un percorso sano di sviluppo, che fortifichi le dimensioni spirituali del nostro essere, abbiamo bisogno di alcuni ingredienti: un messaggio chiaro e coerente, dei valori superiori ai quali i nostri valori individuali e soggettivamente costruiti debbano conformarsi non per realizzare noi stessi ma per realizzare i valori per cui siamo fatti e che esigono che noi ci trasformiamo.

Seguiamo un esempio di percorso sano di sviluppo utilizzando come fonti S. Agostino con lo “Spirito e lettera”.[22] Per S. Agostino, riprendendo la Lettera ai Romani, il “processo della nostra liberazione interiore”[23] si attua secondo il seguente schema.

 

  1. Il confronto con la legge, con un valore sovraordinato mette in evidenza le nostre carenze, l’esigenza di trasformazione. Avere una meta ed una linea guida con la quale effettuare un confronto permette di aumentare la consapevolezza della nostra fragilità interna, di accrescere la frattura interiore tra ciò che siamo attualmente e ciò che vorremmo o dovremmo essere. Ci rendiamo conto che da soli non possiamo farcela, abbiamo bisogno di un correttivo da parte di Dio, che ci invii lo Spirito Santo per sanarci. La fiducia che riponiamo in valori che reputiamo sovraordinati e non relativi ci fa chiedere di riuscire a conformarci ad essi. Questa è la fase della crisi vera e propria, all’interno di un processo di trasformazione. Lo Spirito potrà giungere a sanarci se avremo una sincera consapevolezza della nostra fragilità e della nostra impotenza.

  2. La fede ci fa chiedere la grazia della guarigione, abbiamo qualcuno a cui rivolgerci, abbiamo una speranza ed un fine da raggiungere, possiamo usufruire gratuitamente del dono dello Spirito.

  3. La guarigione consiste nella liberazione della nostra volontà. Il dono dello Spirito ci viene concesso.

  4. La volontà guarita riprende il gusto della giustizia, siamo sanati e fortificati.

  5. Con questo gusto si diventa di nuovo capaci di osservare la legge, siamo stati resi giusti.

 

Percorso di sviluppo secondo Stanislav Grof

Riprendendo il discorso sull’impostazione di Stanislav Grof, le crisi di elevata gravità, che si manifestano solitamente nel percepire di non avere via di uscita, possono essere definite come crisi psico-spirituali. Egli ha coniato il termine emergenza spirituale, nel senso di emersione e di impellenza dello spirito dall’interno di noi stessi ed afferma che, una volta che lo spirito è stato risvegliato, nulla potrà più fermalo. Secondo questo autore, la comparsa di sintomi denota l’attivazione di un processo autonomo di trasformazione profonda e di guarigione, e la loro intensità è commisurata alla velocità ed al tempo che impiegherà tale processo. L’aspetto più importante è il modo in cui il soggetto interpreterà questa sua condizione ed il modo in cui verrà aiutato a risolverla: se verrà seguita la prospettiva che questa è semplicemente la parte più difficile di un percorso di trasformazione che ha l’obiettivo di rinnovare la struttura della personalità, ossia che è un’opportu­nità che si presenta nella nostra vita, allora le probabilità di giungere ad una risoluzione positiva sono elevate. Perfino gli episodi più drammatici ed intensi vengono considerati come degli stadi naturali del processo di apertura spirituale, e non è il contenuto di tali esperienze a farle apparire come situazioni patologiche, bensì l’interpretazione che ne viene fornita dal contesto e dal soggetto. Un individuo che inizia a manifestare una sintomatologia che può farsi risalire ad una crisi psico-spirituale riceverà un trattamento assolutamente opposto se sarà trattato da un clinico che è a conoscenza di questi fattori rispetto ad un’altro di impostazione organicistica che segue il modello della scienza ufficiale.

Nella nostra cultura, per quanto riguarda la storia della psichiatria, questa differenza ha origine a partire dall’epico scontro avvenuto tra Gassner e Mesmer nel lontano 1775. J.J. Gassner era un sacerdote e guaritore che impersonava le forze della tradizione, curando i propri parrocchiani con procedure esorcistiche, mentre F.A. Mesmer era un medico figlio dell’Illuminismo che praticava il magnetismo animale il quale riteneva di conformarsi ad una metodologia dotata di scientificità. Lo scontro fu vinto da Mesmer, ma l’importanza di questo duello è che esso rappresenta la lotta che era in corso tra le forze della tradizione e l’Illuminismo che preparò il terreno ad una ricerca medica e psichiatrica che non fosse più legata ai dettami della religione. Si dà, quindi, l’avvio definitivo all’attuale prospettiva che considera gli stati mistici e le varie forme di sofferenza mentale semplicemente come malattie prive di alcun significato particolare.

Con l’avvento della scienza moderna e dell’era industriale, l’atteggiamento verso qualsiasi manifestazioni spirituale mutò drasticamente. Il concetto di realtà accettabile si restrinse fino ad accogliere solo aspetti materiali, tangibili e misurabili dell’esistenza. La spiritualità fu bandita dalla visione scientifica moderna del mondo e le culture occidentali adottarono un’interpretazione riduzionistica e rigida di ciò che veniva considerato normale nell’esperienza e nel comportamento umano, e ben di rado fu accettato chi tentava di oltrepassare tali limiti.

 

“In un universo dove soltanto ciò che è tangibile, materiale e misurabile è reale, tutte le forme di attività religiosa e mistica vengono considerate indice di ignoranza, superstizione, irrazionalità o immaturità emotiva. Pertanto l’esperienza diretta delle realtà spirituali è interpretata come psicotica, cioè come manifestazione di malattia mentale”[24]

 

Nelle civiltà preindustriali le persone che portavano i segni di un’incipiente crisi venivano addirittura considerati dei privilegiati. Le rispettive società li sostenevano e ne incoraggiavano gli sforzi ad attraversare questi periodi difficili, anche offrendo loro dei santuari in cui rifugiarsi ed esonerandoli dagli obblighi della vita quotidiana. Molti dei membri più rispettati delle comunità avevano anch’essi attraversato una propria emergenza personale ed erano quindi in grado di riconoscere e comprendere un analogo processo quando si manifestava negli altri, inoltre erano in grado di rispettare questa espressione valutandola come spinta mistica e creativa. Queste esperienze venivano appoggiate dai membri della comunità, fidando che le persone avrebbero, alla fine, fatto ritorno alla comunità arricchite di una sapienza superiore e di una più profonda conoscenza del modo di condurre le cose del mondo a vantaggio di tutta la società.

Ma, con l’avvento della scienza moderna e dell’era industriale, questo atteggiamento tollerante e perfino incoraggiante è drasticamente mutato. La psichiatria ufficiale non riesce a vedere alcuna differenza tra una crisi che possa avere una soluzione di tipo spirituale e gravi malattie mentali; ha trovato delle spiegazioni biologiche ai disturbi mentali in termini di infezioni, tumori, squilibri chimici e altre afflizioni del cervello o del corpo. Grazie ai suoi successi, la psichiatria è una disciplina scientifica consolidata, ma l’espressione “malattia mentale” è giunta ad includere molti situazioni che, in realtà, non sono state messe in relazione ad alcuna causa biologica. 

Nella cultura occidentale, le persone che vivono queste situazioni, raramente sono considerate come individui che stanno per vivere un processo di crescita interiore da comprendere e da sostenere; al contrario, sono quasi sempre guardati attraverso la lente interpretativa della malattia e trattati con tecnologie che bloccano un eventuale processo di sviluppo, come ad esempio l’ospedalizzazio­ne e la somministrazione di farmaci che sopprimono i sintomi. “Il compito principale di una terapia è produrre una situazione in cui i sintomi non hanno bisogno di comparire, non una situazione in cui i sintomi non possono comparire”.[25] Oggi è stigmatizzata la possibilità stessa di star male, ci viene impedito con ogni mezzo di soffrire; non è, tuttavia, la sofferenza a mancare ma la possibilità di viverla dignitosamente.

 

“É fondamentale riconoscere l’emergenza spirituale e trattarla in modo adeguato perché essa contiene un grande potenziale positivo per la crescita personale e la guarigione, potenziale che normalmente verrebbe soffocato da un approccio privo di comprensione e dalla somministrazione indiscriminata di farmaci”[26]

 

 

Intervenire nella crisi

Affrontare una crisi psico-spirituale è come affrontare un viaggio nell’ignoto, intraprendere un percorso all’interno del quale non abbiamo alcuna certezza, e non possiamo prevedere con certezza né dove ci porterà né come si svolgerà. Di seguito presenterò un piccolo elenco di quello che deve essere l’atteggiamento utile ad affrontare una crisi psico-spirituale, ripreso brevemente dalla terapia olotropica di Stanislav Grof. Molte sono le attinenze con un percorso cristiano e molte anche le differenze. Comunque vale la pena di approfondire il metodo utilizzato.

1. Il primo fattore che determina il modo in cui si svolgerà il processo di trasformazione è avere fiducia che esso si sia presentato per condurci verso la guarigione e verso una condizione differente, che esso sia il metodo migliore che abbiamo a disposizione per cambiare la situazione attuale. Fede e speranza. La fiducia deve superare il normale giudizio della razionalità, influenzato dalla cultura del nostro tempo.

2. Il secondo fattore risiede nell’avere a disposizione un sostegno ed incoraggiamento, che mantenga viva ed infonda la fiducia necessaria a proseguire nel percorso di trasformazione critica, sia esso proveniente da una persona, sia esso l’aderenza a principi e convinzioni adeguate. Non si superano da soli le fasi più intense, occorre qualcuno che ci dia la forza e nutra la speranza. Di fondamentale importanza è fornire un modello alternativo al modo di vivere abituale, al modo di percepire la vita ed il mondo, insieme ad un sistema valoriale e culturale alternativo. Se, invece di avere un sostegno, avremo qualcuno oppure una mentalità che ci spinge nella direzione opposta, ci troveremo completamente soli ad affrontare la crisi, ci ribelleremo ad essa e rimarremo bloccati all’interno della fase critica.

3. Il terzo fattore consiste nell’avere il coraggio di affrontare il dolore ed i sintomi, quali essi siano, perché il vero dramma nell’attraversare una crisi psico-spirituale è quello di non procedere in avanti ma di arrestarsi a metà strada. Di solito è nella fase in cui la sofferenza diviene più intensa che si cerca di arrestarla, rimanendo invece intrappolati nella condizione peggiore, con il rischio di persistervi finché non si darà un nuovo avvio al percorso. Talvolta il processo ha bisogno di essere riattivato e catalizzato per non fermarsi. Si intende qui sia un intervento di facilitazione, sia un intervento che accresca la crisi nel momento in cui il processo si trovi in una condizione di stallo.[27] La sofferenza potrebbe essere superata rapidamente se si riuscisse a procedere velocemente nel percorso indicato dalla crisi.

4. Il quarto fattore risiede nel modo in cui interpretiamo il dolore e nell’atteggiamento che abbiamo nei suoi confronti; se l’interpretazione è adeguata, l’atteggiamento più efficace che ne potrà derivare è quello di un’incondizionata ed umile accoglienza, che permetterà di arrendersi alle esperienze, per quanto dolorose, senza cercare di cambiarle e di abbandonarsi ad esse lasciandosi andare totalmente al processo. La resistenza verso le esperienze che si vivono e verso la sofferenza in generale, potrebbe generare un blocco nel flusso esperienziale ed emozionale, rendendo più lungo e doloroso il processo. Le barriere principali sono di ordine cognitivo e filosofico, poiché il processo critico potrebbe mettere a dura prova la nostra visione del mondo e di noi stessi. L’attaccamento ansioso all’immagine razionale di noi stessi e del mondo e l’irrigidimento difensivo della nostra mente si contrappone all’abbandonarsi con fiducia ed alla resa totale. Inoltre, date le limitate capacità dell’intelletto umano nell’elaborare questo tipo di eventi nel momento stesso in cui avvengono, cercare di interpretare razionalmente ciò che avviene nelle fasi di emergenza critica costituirebbe un’interferenza che renderebbe il processo più lento e più doloroso.

Nella prospettiva della psicologia cognitiva, possiamo evidenziare come una trasformazione radicale della nostra identità debba fare i conti con il sistema personale di significati, usato per dare senso e coerenza alla nostra esperienza, il quale determina l’accettabilità o meno di un cambiamento. Se in noi sono presenti atteggiamenti mentali che vanno in senso contrario, “l’impossibilità di articolare ulteriormente il proprio senso di sé, di fronte a pressioni che spingerebbero a farlo, determina conseguenze piuttosto rilevanti da un punto di vista psicopatologico”.[28] La possibilità di riorganizzare la struttura della propria personalità dipenderà dalla capacità di rielaborare un nuovo equilibrio che sia flessibile nei confronti dell’esperienza critica, legato ad una nuova interpretazione che si discosti da eventuali stereotipi culturali appresi.

Secondo Stanislav Grof, l’ostacolo principale è costituito dalla resistenza che l’Io oppone al processo, ribellandosi alla trasformazione nel momento in cui insorge il dolore.

 

“In un processo di guarigione così concepito, l’ostacolo principale è la resistenza dell’Io, il quale dimostra la tendenza a difendere la propria limitata visione di se stesso e del mondo, è attaccato alle cose familiari e teme l’ignoto, resistendo all’aumento di dolore fisico ed emotivo. É proprio questo sforzo determinato dall’Io a mantenere lo status quo, che a sua volta interferisce con il processo spontaneo di guarigione cristallizzandolo in un forma relativamente stabile che noi conosciamo come sintomi psicopatologici.”[29]

 

5. Il quinto fattore è costituito dalla possibilità di elaborare, interiorizzare ed integrare le esperienze, per rendere i cambiamenti effettivi e duraturi impedendo che si possa riprodurre la stessa situazione critica. Solo ora, dopo che il processo ha raggiunto il suo obiettivo trasformativo e le tempeste emozionali sono giunte al termine, è possibile utilizzare l’interiorizzazione razionale per elaborare cognitivamente la maggior parte di particolari dell’esperienza vissuta. La razionalità ed un desiderio troppo intenso di comprendere ciò che sta avvenendo nel momento in cui affrontiamo la crisi potrebbe essere un impedimento invece di essere una risorsa. La razionalità non deve contrapporsi al processo e deve fornire un sostegno al percorso critico, ma ciò che avviene lo si comprenderà solo dopo che è terminato il processo.

Dopo aver mostrato questi punti, si può notare come l’ostacolo principale sembri essere costituito dal modo in cui interpretiamo l’intero processo, ed il pericolo principale sembra essere costituito dal tentativo di coprire o di alleviare artificialmente i sintomi, interferendo e bloccando un processo spontaneo di guarigione in atto. La difficoltà che sembra essere più importante è costituita dai fattori culturali nei quali siamo immersi, un mondo dove la soppressione dei sintomi è la regola e nel quale la sofferenza altro non è se non un inconveniente che accade nella nostra vita al quale ribellarsi, ancorati come siamo ad una visione individualmente materialistica.

 

“...parlano del dolore come di un mistero. In realtà è una rivelazione. Si scoprono cose mai prima dissepolte. Ci si accosta all’intera storia da un nuovo punto di vista”.[30]

Atteggiamento adeguato per affrontare una crisi psico-spirituale:

 

  1. Avere fiducia nelle potenzialità trasformative del percorso critico, interpretando la crisi come una fase difficile di un processo di trasformazione.

  2. Avere a disposizione un sostegno incrollabile ed un sistema valoriale alternativo.

  3. Persistere con coraggio nel voler affrontare la crisi e farsi aiutare a catalizzare il processo critico se si ferma in situazione di stallo.

  4. Accogliere la sofferenza con umiltà evitando l’atteggiamento di ribellione ad essa.

  5. Elaborare e ad integrare in profondità il cambiamento avvenuto e le esperienze vissute.

 

Insomma, nel modello di Grof eventi drammatici dai quali non possiamo sfuggire interrompono la continuità alla quale siamo abituati e ci costringono coercitivamente sulla via di un’evoluzione personale. Secondo il concetto di emergenza spirituale, tali eventi attivano istanze interiori profonde che sono lo strumento del cambiamento, e dimensioni spirituali fino a quel momento inattive o anestetizzate. Questi eventi possono essere definiti l’innesco di un processo di trasformazione, di una crisi psico-spirituale. La dimensione dello spirito, attivata, irrompe con forza nella nostra vita e, se respinta o se non tenuta nella dovuta considerazione, produce una sofferenza più grande di quella che l’ha innescata causando situazioni psicopatologiche o evitamenti difensivi. L’evento drammatico e la conseguente sofferenza, forzano l’individuo a cercare una soluzione la quale, soprattutto nei casi più estremi, non può esistere se non in una prospettiva religiosa. A questo punto si può formulare la seguente ipotesi: un evento causa una sofferenza alla quale non è possibile sottrarsi avviando una situazione di crisi alla quale non siamo preparati a rispondere. Tuttavia, nel momento della crisi, si attivano anche le risorse interne - la dimensione spirituale - che sono lo strumento per risolverla; se non siamo preparati all’emersione delle istanze spirituali, se non possediamo già una fede strutturata, se interveniamo con la soppressione dei sintomi, allora il processo potrebbe degenerare e condurci verso la psicopatologia. Ma, se siamo stati preparati ad un evento simile e troviamo nel nostro ambiente qualcuno che ci sostenga nell’attraversare questo processo di trasformazione, allora la crisi diverrà un’opportunità per generare in noi un cambiamento radicale ed un rinnovamento profondo. Il dolore non sarà più visto come un incidente nella nostra vita, ma sarà vissuto come fonte per il completamento spirituale del nostro essere e come fonte di estasi. Nel momento della sofferenza senza uscita, il dolore elimina le nostre maschere facendoci percepire il vuoto dentro di noi e, per nostra fortuna, simultaneamente qualcosa di estremamente risolutivo sembra attivarsi in noi.

 

“La sofferenza, al contrario del piacere, non porta la maschera.”[31]

 

Nel momento in cui si vince la paura del dolore e questo viene perfino visto come uno strumento per il cambiamento, la crescita ed il miglioramento, nel momento in cui abbiamo sperimentato personalmente gli effetti del processo di trasformazione e abbiamo raggiunto un cambiamento profondo vincendo la superficialità, allora la nostra personalità non avrà più bisogno di fuggire dal vissuto della fragilità e di attivare processi difensivi ma ne uscirà rafforzata e solida per affrontare gli urti dell’ambiente esterno e quelli della nostra interiorità.

 

Il punto della situazione

 

“Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada.” (Mt 10,34)

 

“Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte.” (2 Cor 12, 9-10)

 

Se facciamo il punto su quanto abbiamo detto fino ad ora possiamo sintetizzare in pochi passi quale sia il problema, considerando la limitata prospettiva che ha caratterizzato questo scritto.

Benedetto XI, quando era decano del Collegio Cardinalizio in occasione dell’omelia della “Missa pro eligendo Romano Pontifice”, si è preoccupato di mostrare come il pericolo attuale per la fede sia soprattutto la banalizzazione del male e la dittatura del relativismo.[32]

Il problema di fondo è reperibile nel fatto che la società non trasmette più un valore unificante ed ultramondano che riesca a mettere ordine nel dedalo di idee ed ideali veicolati dai mezzi di informazione. I valori parziali, soggettivamente valutati, sono posti tutti allo stesso livello, mentre un principio unificante non può essere dello stesso livello dei valori che vuole ordinare ma deve avere caratteristiche diverse, deve essere a loro sovraordinato, possedendo la caratteristica di fine ultimo ed organizzatore dei suoi sottoposti. In assenza di ciò, in mancanza di qualcosa che possa unificare i precedenti e dargli un ordine, tutti i valori hanno la stessa valenza. “Una pluralità di valori disconnessi è una sorta di politeismo”,[33] all’interno del quale la stessa religione cattolica ed i suoi principi divengono semplicemente una cosa tra le altre cose del mondo. Il gioco della volontà libera farà la sua parte nell’applicare le sue limitate potenzialità nel dedicarsi ad una o all’altra di queste cose.

I giovani hanno attualmente assorbito l’idea del relativismo liberale e del soggettivismo, mentre gli adulti, da “esperti”, si sono fatti convincere che lo spontaneismo sia la chiave di volta perché i ragazzi possano scoprire se stessi e crescere cognitivamente ed emotivamente in modo armonico. Inoltre non hanno tempo per seguirli da vicino e preferiscono avere fede nella mitologia meccanica che utilizza la scienza esatta come fonte dell’educazione e della correzione dei difetti dei loro figli, fino all’attuale moda degli psicofarmaci per bambini. Perfino al livello della comunicazione interpersonale tra genitori e figli si sta diffondendo una tecnica, quanto mai arida e piena di effetti collaterali come la “Comunicazione non violenta”, che priva il rapporto genitori-figli di qualsiasi tonalità emozionale, di autenticità e lo rende estremamente formale.[34] Talvolta le tecniche vengono prodotte non per risolvere problemi, ma semplicemente a mantenere lo status quo di una cultura in decadenza.

Ai giovani non vengono fornite linee guida che diano un ordine ed un senso sovraordinato, vengono abbandonati alla libertà ed alla responsabilità personale di dover costruire da zero il senso del mondo e della vita, compito troppo arduo per poter essere fronteggiato efficacemente. L’eccessiva complessità, che viene scambiata per modernità, porterà il giovane a non poter gestire la situazione e a dover fuggire da essa, entrando in crisi senza gli strumenti ed il sostegno per poterla affrontare. Il giovane si trova abbandonato a doversi confrontare con il caos, compito difficile anche per i migliori. In questa condizione, è facile che ci si possa rivolgere difensivamente a mete di piacere, avviando meccanismi di difesa come la diversione in attività edonicamente finalizzate o intraprendendo vie sostitutive rispetto ai bisogni negati, come, ad esempio, dirigendosi verso attività che soddisfino il loro senso del sacro grazie a pratiche di meditazione esotiche, appartenenza a sette o all’uso di sostanze. Le attività su base prettamente edonistica vengono definite come falsi edonismi in quanto sono attività che coinvolgono parzialmente la loro mente e le strutture della loro personalità, poiché vengono utilizzati i livelli inferiori delle loro attività mentali slegati dalla connessione con i livelli superiori.

La difficoltà principale sembra essere rappresentata dall’atto di ribellarsi alla sofferenza nel momento in cui si percepisce che il mondo e la vita oppongono resistenza alla propria volontà “libera” e che non forniscono risposte valide alla loro domanda di senso. La percezione della propria fragilità viene fuggita o dissimulata con un continuo tentativo di fuga da essa, invece di essere percepita come la principale risorsa che potrebbe permettere un sano sviluppo psicologico e spirituale dal quale emergere fortificati.

 

[1] Bateson G. (1979), Mente e Natura, Adelphi, Milano 1995.

[2] Dioguardi G., Al di la del disordine. Discorso sulla complessità e sulla impresa, CUEN, Napoli 2000.

[3] Simon, H.A, Administrative Behavior, NewYork, The Free Press, 1947.

[4] Shannon C., Weaver W., The mathematical theory of communication, University of Illinois Press, Urbana 1963.

[5] Amerio R., Iota Unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX, Riccardo Ricciardi Editore, Milano-Napoli 1985, p. 172

[6] Scanavino G., Spirito e libertà. Letture agostiniane, Città Nuova, Roma 1999, p. 50.

[7] Ey H. (1975): La teoria organodinamica della malattia mentale, Astrolabio, Roma 1977.

[8] Janet P., L’état mental des hystériques, Alcan, Parigi 1911.

[9] Janet e Freud operarono entrambi all’inizio del secolo XX. Furono loro i veri iniziatori della psicologia dinamica e clinica per come la intendiamo oggi. Il conflitto tra i due fu vinto da Freud in quanto politicamente più attivo e dedito ad una psicoanalisi intesa come attività imprenditoriale. La base su cui si fonda la teoria freudiana, a ben vedere, sono i livelli inferiori dell’attività mentale, gli aspetti istintuali che costituivano solamente una piccola parte dell’opera di Janet. Se la comunità scientifica avesse dato credito a Janet ed avesse relegato nell’oblio Freud, l’impostazione culturale della società odierna sarebbe stata completamente differente.

[10] Twersky, A. e Kahneman, D. (1986), “Rational choice and the framing of decision”, Journal of Business, 59, pp. 251-278.

[11] Amerio R., op. cit. p. 173.

[12] Hellenberger H.F. (1970), La scoperta dell’inconscio, Bollati Boringhieri, Torino 1976.

[13] Wilde O. (1905), De Profundis. Il dolore come rivelazione, Demetra Editore, Bussolengo 1997, p. 93.

[14] Ellenberger H. F., (1970), La scoperta dell’inconscio, Bollati Boringhieri, Torino,1976.

[15] Grof S. (1985), Oltre il cervello. L’esplorazione transpersonale delle possibilità della coscienza umana, Cittadella Editrice, Assisi 1997.

[16] Per una trattazione più completa sul tema della crisi psico-spirituale e sulla gestione dei processi critici si può vedere: Lepri. F., La crisi psico-spirituale come processo di trasformazione in AUS, n° 3, Anno XX pp. 231.242, e Lepri F., La psicologia della crisi: gestire la ribellione in AUS, n°  5, Anno XX, pp.432-445.

[17] Laing R.(1967), La politica dell’esperienza, Feltrinelli, Milano 1990.

[18] Laing R.D. (1959), L’Io diviso, Einaudi, Torino,1969.

[19] Scanavino G., Spirito e libertà. Letture agostiniane, Città Nuova, Roma 1999, p. 50.

[20] Malizia E., Borgo S., Le droghe, Newton Compton Libri, Roma 2006, p. 168.

[21] Miller, W.R. e Rollnick, S. (1991), Il colloquio di motivazione, Erickson, Trento 1994, pag. 30.

[22] Soprattutto 30, 52 e la sua interpretazione fornita da: Scanavino G., Spirito e libertà. Letture agostiniane, Città Nuova, Roma 1999, da me adattata per i fini del presente lavoro.

[23] Scanavino, op. cit. p. 41.

[24] Grof S. (1989), Emergenza spirituale, Edizioni RED, Como 1993, pag. 20.

[25] Grof. S. (1990), La tempestosa ricerca di se stessi, Edizioni RED, Como 1995, pag. 52

[26] Grof S. (1989), op. cit. p. 21.

[27] “In un certo senso, allora, il terapista può spesso adoperarsi per indurre (invece che ridurre) la crisi...”, Mahoney M.J. (1980), La psicoterapia e la struttura delle rivoluzioni personali, in Guidano V.F. e Reda M.A. (a cura di), Cognitivismo e psicoterapia, FrancoAngeli, Milano 1981, pag. 311.

[28] Guidano V.F., La complessità del Sé, Bollati Boringhieri, Milano 1988, pag. 118.

[29] Grof S. (1985), Oltre il cervello. L’esplorazione transpersonale delle possibilità della coscienza umana, Cittadella Editrice, Assisi 1997.

[30] Wilde O. (1905), De Profundis. Il dolore come rivelazione, Demetra Editore, Bussolengo 1997, p. 92.

[31] Ibidem, p. 93.

[32] Il testo è scaricabile dal sito del Vaticano: http://www.vatican.va/gpII/documents/homily-pro-eligendo-pontifice_20050418_it.html

[33] Amerio R., Iota Unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX, Riccardo Ricciardi Editore, Milano-Napoli 1985, p. 631.

[34] La “Comunicazione non violenta” potrebbe essere paragonata all’attuale tendenza del buonismo a tutti i costi, ma può anche essere paragonata a quegli assetti familiari caratterizzati da comunicazione camuffata ed ambigua nella quale si tende a mascherare ogni contraddizione per mantenere un’immagine di apparente perfezione. Ė l’assetto tipico dell’anoressia nervosa. Per il rapporto tra anoressia nervosa e formalismo familiare si può vedere: Guidano V., La complessità del Sé, Bollati Boringhieri, Torino 1988.

PSICOLOGO OLBIA - PSICOTERAPEUTA OLBIA

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